domenica 3 dicembre 2017 0 commenti

Rancuori

Ho buona cura, di prima mattina, che si sveglino dolcemente, senza che se ne accorgano, affinché il sole alto non li sorprenda dopo il buio della notte.
Faccio in modo che si godano la colazione, con calma, aspettando che ne gioiscano. A volte, permalosi, si adagiano sui ricordi, due innamorati, una Sachertorte, burro e marmellata, quando non ci lasceremo mai era ancora un'innocua bugia.
In fretta e furia li disoriento e gli ripeto che sono felice anche senza. Li accompagno in bagno, si vestono, lavano i denti e si pettinano, ordinati, fieri del tempo trascorso, mentre crescono e si fanno uomini. Erano piccoli, rancori, impauriti e nascosti in un angolo di fegato, ma sono arroganti, adesso.
Salgo in macchina, io alla guida, loro passeggeri. Accendo la radio. Mi ricordo, eravamo incoscienti e goffi, ma ballavamo, in quella notte di ferragosto. Rancori buoni, loro, ma il segnale è disturbato.
Sotto la pioggia, di corsa a rinchiudersi in bar. Un inverno gelido, il trasloco, la valigia pesante a cuor leggero, per l'amor di dio me ne pento, per l'amor di lei ritornerei ancora una volta al disagio di quei giorni. Ti ricordi, rancore, quando bastavano una TV sgangherata, delle caramelle e un piumino per essere sazi d'estasi? Piacere mio d'averti conosciuta, se non piango ne gioisco, ancora una volta, ripensandoci, grazie d'esserci vissuti.
E' già ora di pranzo. Hanno fame ma non sanno mai cosa scegliere dal menù delle pietanze. Rancori gorgonzola e noci, rancori alla griglia, rancori ripieni, rancori burro e salvia, rancori saltati in padella all'aceto balsamico, rancori allo scoglio. Quel giorno, mi ricordo, saltò la corrente, la nostra torta in forno. Adesso la compro in pasticceria. 
Nel pomeriggio li porto al parco. Una breve passeggiata prima di fermarci in quel chiosco, due anni fa, quando mi fidavo, eravamo buoni amici e forse fratelli. Chi fosse Caino, chi Abele, non ci è dato sapere. Prendiamo per buone le risate.
Alla sera, prima di rincasare, ci fermiamo in gelateria "La Romana". Mi chiedevo, se mi innamoro resti con me? Mi preoccupavo, se faccio tardi, mi aspetti? Alla fine, la miglior forma di solitudine è stata tenersi compagnia. Una rosa e dei cioccolatini, è il compleanno del rancore, il 14 febbraio. Baci, Giuda e Perugina. 
Ma è trascorsa un'altra giornata. Sotto le coperte non mi viene sonno, come quella sera, trascorsa a chiacchierare, fino alle sei del mattino, sorseggiando birra e zenzero. E poi i pianeti che si allineano, e le metamorfosi, e il rumoroso, assordante fracasso delle affinità elettive che si scontrano e si annullano a vicenda, nelle caldi notti d'estate, nel dubbio che possa ancora sorgere il sole. E' tramontata la luna, in mezzo al mare. E' stata comunque affascinante.
E' tardi e i rancori si assopiscono. Domani è un altro giorno. E mi prenderò ancora cura di loro, con gelosia, perché mi ricordano quale vetro rompere in caso di affetto. 
domenica 17 settembre 2017 0 commenti

Sei personaggi in cerca d'errore

Bei tempi quando eravamo giovani, vecchi amici, quando le promesse erano date in saldo, prendi due e paghi uno, in comode rate a interesse zero. E non ce ne fregava proprio un cazzo, infatti, perché domani è un altro giorno e ci penserà il vento, ancora una volta, a spazzare via l'ultimo alito di dignità. Basta un brindisi e tutto passa, un sorriso all'acqua di rose col prezzemolo fra i denti, alla salute di chi ci vuole male e se ci vuole bene, pazienza.
Sul terreno di guerra restano i cadaveri putrefatti delle parole pensate e mai dette. Saranno concime per i condizionali, sbocceranno margherite profumate e le raccoglierà un viandante, poi, per caso o per fortuna, diventerà ciò che hai sempre desiderato o avrà ciò che hai sempre voluto.
Non mi fiderò mai più di chi si tinge i capelli. Mi stai nascondendo qualcosa sotto quella tintura di iodio, cicatrici. Sono capelli bianchi, ma se l'età avanza il garbo indietreggia. Peter Pan si è impiccato, è troppo anche per lui una così arrogante giovinezza che sì, fugge tuttavia, nel tuo domani non c'è saggezza.
Non mi fiderò mai più di chi è taciturno perché il suo silenzio è sempre assenso. Si nasconde dietro un dito e di solito è il medio.
Vorrei una puttana, per favore, che non finga fedeltà, ma che richiami a sé la vanità di essere sempre una ed una sola, zoccola, per sempre, per scelta, non donna di chiesa per un'insensata voglia di equilibrio, squilibrata come sei, quella che non sei non sarai, mai. E allora dalla! Dalla via, scappa via, che aspetti a tornare indietro, squallida falsa copia da museo, brutta cera, non c'è trucco ma c'è inganno, chi si loda s'imbroda, chi si atteggia scorreggia.
Siamo sempre alla ricerca di qualcosa che non ci appartiene, ma che ci lusinga solo perché ne sentiamo l'odore, come di fica, ma non arriva mai, eppure la seguiamo quella scia, incoscienti, arriverà il nostro turno, sento che ci sono quasi, c'è un posto nel mondo, non basta un posto letto, questo spazio mi sta stretto, gli ultimi non saranno i primi se i primi arriveranno per primi, diamoci una possibilità, certe volte ho creduto fino a sei cose impossibili prima di colazione.
In alto i bicchieri e, se permetti, un sorso alla più squallida e triste rappresentazione di te, quando hai smesso di essere ciò che sei dopo che il mondo ti ha detto cosa dovrai diventare. Ma non c'è più bisogno di stringersi la mano. Certi convenevoli sono superati. Secoli di aforismi, poesie e belle parole, poi, disse qualcuno, spiegatemi com'è che sono rimasti tutti stronzi.
sabato 25 febbraio 2017 0 commenti

Fai bei sogni

C'è un posto in un angolo di buio in cui le note grigie della giornata si disperdono e si fanno notte. Un rantolo, il respiro affannato dal fumo e dalla cenere, i polmoni in gola e il fegato rancido, a cuore aperto s'intorpidiscono i sensi e s'annebbia la ragione.
A letto non è mai troppo tardi. Svegliarsi è un privilegio per pochi, quando il torpore dell'oblio coccola le membra non c'è folle che non vi s'abbandoni. Fai ancora bei sogni, la primavera è in ritardo, l'inverno è lungo e gelido. Ma lascia che ti racconti una storia, fatta di cavalli pazzi ed elefanti rosa, su mari di cristallo e lune di corallo. Ho vinto la battaglia di Waterloo e sto imparando a volare. Può di nuovo essere Natale, camino acceso e odore d'arrosto, i regali sotto l'albero e la neve se ne frega. Ti giri un attimo e le perdi sotto le lenzuola, gioie e noie, s'impregnano di sudore e bava, alla bocca. Sulle labbra i segni dei denti, conficcati nelle carni per la rabbia e le parole mai dette, sulla lingua i peli d'un fiore avaro e languido, sulle mani la sadica voglia di tirare il collo alle favole.
Fai bei sogni, se ne hai. Se dormi di stenti l'anima se ne accorge, si ribella e grida pace, l'inferno apparecchia e l'ira si nutre. Ma le prime luci dell'alba s'avvicinano, fai in fretta. Lasciami ancora qualche minuto prima di riprendere coscienza, lascia che mi aggrappi con le unghie e con i denti alle fuggevoli carezze della notte, nel silenzio della mia incoscienza, solo mia, lasciamene un sorso ancora di quell'irresistibile voglia di bere menzogne e follie, nessun raggio di sole dovrà svegliarmi, prima che il sipario cali, un applauso ai figuranti, la sveglia sta per suonare, aspetta, è il momento, ancora un minuto, sta per cadere l'ultima goccia di moccio dal naso, ci sono quasi, la luce è lì che s'inerpica fra le tende e le sottili sfoglie di palpebra che timide si stringono al far della... mattina! 
E' mattina. Apri gli occhi e le pupille ancora non lo sanno. E' mattina. Non ci sono cavalli né elefanti, non è Natale, niente arrosto, gli unici odori sono quelli delle scorregge.
Niente stelle fino alla sera. Sopra la testa un soffitto pallido, immobile, ignora ogni cosa e sta al suo posto. Si abbassa se lo fissi, ti viene vicino e ti urla silenzioso all'orecchio che nel vuoto puoi annegare, se non lo riempi. La prima cosa da fare è la pipì...

 
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